giovedì 3 aprile 2014

MANTENERE APERTO IL CUORE

Da "IL LIBRO TIBETANO DEL VIVERE E DEL MORIRE" di Sogyal Rinpoche (Ubaldini):

"Non aspettatevi risultati immediati o miracolosi. La sofferenza svanirà dopo un certo periodo, forse più tardi di quanto speravate. Non nutrite nessuna aspettativa che "funzioni" e che metta immediatamente e definitivamente fine al vostro dolore. Siate aperti alla sofferenza, come lo siete verso i buddha e gli esseri illuminati durante la vostra pratica.
Forse incomincerete a provare una misteriosa gratitudine per il dolore, perché vi dà l'opportunità di attraversarlo e trasformarlo. Senza di esso, non avreste mai potuto scoprire che, nascosto in fondo alla sofferenza e alla sua stessa natura, c'è un tesoro di beatitudine. I momenti di dolore sono anche quelli di maggiore apertura, e nella vulnerabilità potrete trovare la forza più grande.
Dite a voi stessi:"Non fuggirò da questa sofferenza. Voglio usarla nel modo migliore e più positivo, per diventare più compassionevole e più utile agli altri." La sofferenza dopo tutto, può insegnarci la compassione. La vostra sofferenza vi fa capire quella degli altri. E, se avete la possibilità di dare aiuto, è attraverso la vostra sofferenza che troverete la comprensione e la compassione per riuscirci.
Non chiudete fuori il dolore: accettatelo e rimanete vulnerabili. Qualunque sia il grado di disperazione, accettate il dolore per quello che è, perché in realtà sta cercando di farvi un regalo inestimabile: la possibilità di scoprire, mediante la pratica spirituale, ciò che si apre al di là del dolore. Scrive Rumi: "Il dolore può essere il giardino della compassione". Se mantenete aperto il vostro cuore in ogni circostanza, il dolore può diventare il vostro più potente alleato nella ricerca dell'amore e della saggezza.
Noi sappiamo anche troppo bene che non serve a niente chiuderci al dolore e che tentare di proteggerci significa soltanto soffrire di più, rinunciando a imparare dalla sofferenza? Rilke scrive che il cuore protetto "mai espostosi alla perdita, innocente e sicuro, non conosce la tenerezza. Solo il cuore riconquistato può trovare appagamento: libero, grazie a ciò che ha abbandonato, di godere della propria padronanza."


Per noi occidentali, molto pratici e diretti, queste parole faticano a risuonare.
Quando sono nel bel mezzo di un grande dolore, sentirsi dire di accettarlo è il suggerimento che accogliamo meno bene... anzi, potrebbe scatenare in noi rabbia e frustrazione. Siamo abituati a essere fortemente centrati su noi stessi e le nostre esigenze, per cui già solo l'idea che "IO debba soffrire per diventare compassionevole ed essere in grado di aiutare gli altri" potrebbe stimolare pensieri irripetibili.
Proprio questa eccessiva focalizzazione su noi stessi (sul nostro ego) rende la dinamica del dolore, di natura mentale, molto potente. Ci sembra di essere rinchiusi in un buco nero dove l'altro non deve avere accesso perché non ha idea di cosa stiamo veramente passando (ci chiede di uscire, di vedere gente, di guardare oltre, di non  abbatterci ... figuriamoci!). La chiusura crea inevitabilmente spesse barriere di difesa dal mondo esterno che rendono la nostra prigione ancora più oscura, con la mente a dettare legge e a inondarci di pensieri tenebrosi che ci rendono ancora più depressi. In qualche modo, la nostra attitudine non fa che potenziare il nostro dolore. Questo non significa accettare il dolore, ma esserne schiavi.
Cambiamo prospettiva, come sempre.
Stiamo vivendo un dolore lancinante e ci siamo dentro fino al collo. Sappiamo che se lasciamo la mente a ruota libera finiremo nella dinamica di cui sopra. Non abbiamo voglia di contatto esterno, ma cerchiamo di non chiudere le porte al mondo. La respirazione ci aiuterà moltissimo (in quanto se riusciamo a focalizzarci su inspirazione ed espirazione blocchiamo la frenetica attività della mente). Il confronto con l'altro e la condivisione sono strumenti importanti perché ci aiutano a donare oggettività al vissuto, cioè a osservarlo da punti di vista differenti e a ridimensionarlo attraverso l'esposizione (sappiamo molto bene che più si rimugina su qualcosa  e più si tende a ingigantirne i contorni). Questa attitudine ci aiuterà ad acquisire distacco e a comprendere cosa ci sta insegnando quello che stiamo vivendo (nella prigione buia difficilmente lo vedremo, ma se restiamo aperti abbiamo buone possibilità di cogliere la parte di Luce dell'esperienza ... quella che ci renderà persone migliori, che ci farà crescere). A quel punto saremo liberi di trattenere nel cuore il prezioso insegnamento e lasciar andare il dolore. In questo modo non avremo rinnegato il passato o perso una parte di noi, ma l'avremo trasformato in un'esperienza che ci ha arricchito e reso più consapevoli ed empatici. Questa capacità ci apparterrà profondamente e ci sarà d'aiuto nelle relazioni con l'altro  (e torniamo all'estratto di Sogyal Rinpoche) permettendoci di vivere in armonia con noi stessi e con il mondo.

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