lunedì 31 ottobre 2016

TERRA DI MONTEFELTRO: TRA CIELO E TERRA

Sono stata a San Leo. Luogo sacro per la sua intensità. Mi sono avvicinata a questo luogo con umiltà, osservandone il paesaggio, ascoltando le sensazioni che mi rimandava e riscoprendo i personaggi che ne hanno segnato la storia, primo fra questi Cagliostro.
Difficile esprimere l'immediatezza interiore di quel rimando: affido questo compito ad un poeta, Fabio Zombari, che ho avuto il dono di leggere camminando nella storia della rocca di San Leo.

TERRA DEL MONTEFELTRO: 
la rabbia dei demoni l'ha sconvolta,
la pace dei santi santificata.
I potenti vi hanno elevato castelli,
gli umili l'han lavorata.
Così pace e guerra s'alternano tra cielo e terra.
Ma come la calma sarebbe piatta senza quella bufera,
la potenza sarebbe sterile senza quel lavoro.
Il poeta che di sera dalle cime di San Marino o di San Leo,
contempla quei calanchi, 
partecipa della tempesta e dello sguardo che l'ha pietrificata;
nè sa dove cominci il paradiso, dove l'inferno.
In lui, nella sua stessa anima, dove s'incontrano.
Così il poeta fissa sgomento in quel tumulto l'anima propria.
E sente d'esser tutt'uno con la sua terra.

Fabio Zombari
23/10/1955




venerdì 28 ottobre 2016

TRASFORMARE IL DOLORE IN PIACERE

Più volte nella vita può capitare di provare dolore quando, chi vive con noi la stessa situazione, al contrario, prova piacere. Se permettiamo alla mente di verbalizzare il sentire, creiamo una barriera che ci impedisce di entrare in contatto con la realtà oggettiva e ci vincola in qualche modo a fissare nella memoria non solo il nostro dolore, ma l'altrui piacere ad esso congiunto. Se questo accade, nell'ambito mentale, inevitabilmente, si origina un blocco che ci porta a restare incagliati nella parte che abbiamo recitato.
E' molto faticoso, dinanzi allo stesso evento, accogliere il proprio dolore di fronte alla gioia dell'altro o il contrario, in particolar modo quando vi è reciproco affetto: la mente non può contemplarlo. E come agisce la mente di rimando, non potendo esprimere alcun tipo di emozione?  Va in loop e genera il senso di colpa. Senso di colpa che interverrà a mantenere strenuamente la posizione occupata nel momento in cui si è verificato l'evento. Proviamo a pensare alle implicazioni di una tale reazione. Se non riesco a disidentificarmi dalla mia situazione di dolore congiunta al piacere altrui, potrò vivere tutta la vita pensando di non meritarmi il piacere e mi sentiro' costretto a soffrire e a sacrificarmi per far felici coloro a cui voglio bene. Al contrario se non riesco a disidentificarmi dalla mia situazione di piacere vissuto in concomitanza al dolore altrui, potrò vivere tutta la vita pensando di non meritarmelo e potrei anche rinunciare al piacere con la convinzione che in tal modo eviterei la sofferenza dell'altro. In questi casi,  sia il piacere che il dolore non sono mai vissuti con pienezza, ma solamente a livello mentale. Cosa significa concretamente questa affermazione? Che il mio corpo non parteciperà al sentire e sarà teso, rigido e contratto, cioè in blocco. Il mio dolore non si manifesterà con le lacrime, ma con il congelamento, così come il piacere non apporterà un'ondata di energia e leggerezza, ma mi zavorrerà a terra.
So bene che quando mi arrivano queste intuizioni, parto per la tangente ed è difficile comprendermi, ma qualche esempio pratico sarà di grande aiuto.
Una violenza sessuale su minore, la fine non condivisa di una relazione d'amore, una separazione dei genitori per i figli ... ogni evento che in qualche modo ci porrà di fronte al dolore e al piacere contemporaneamente.
Molto semplicemente pensiamo all'alimentazione, che rappresenta per il corpo una fonte di piacere: quando assaporiamo un cibo di origine animale e riflettiamo sul dolore vissuto dall'animale per permetterci di gustarlo, difficilmente saremo in grado di mangiarlo nuovamente. Il dolore dell'animale e il nostro piacere non potranno convivere senza creare una situazione di blocco mentale che si manifesterà con una scelta alimentare mirata ad evitare certi cibi.
Per questo è veramente importante imparare a non verbalizzare e lasciar che le cose siano presenti, al di là del linguaggio. 
Il dolore e il piacere sono intimamente collegati e nel nostro vissuto si alterneranno spesso se permetteremo al movimento della vita di dispiegarsi. 
Abbandoniamo la presunzione di essere onnipotenti, pensando di poter con le nostre scelte alleviare il dolore o favorire il piacere altrui. Il riuscire a trasformare il proprio dolore senza rimanervi incagliati o l'agire in direzione del piacere con semplicità e naturalezza richiede già il lavoro di una vita intera.
Recuperiamo con umiltà la responsabilità del nostro corpo, del nostro pensiero, delle nostre azioni e del nostro sentire. Ascoltiamoci, osserviamoci, amiamoci ed impariamo ad accogliere dolore e piacere indistintamente per vivere con pienezza noi stessi.






martedì 25 ottobre 2016

NON SONO UN POLITICO


"Non sono un politico, non sono mai stato un politico: per temperamento, per costituzione interiore, per vocazione, non potrei esserlo. Se dovessi definire me stesso mediante un opposto, potrei dire che sono il contrario di quel che è un uomo politico. Perciò ho sempre ammirato coloro che sono capaci di donarsi alla politica, di esaurire se stessi come politici: sono persuaso che essi assumono su di sè la parte più grave del peso umano, compiendo un sacrificio che divora la loro esistenza, insieme con la loro stessa vanità e la relativa sete di vita. Strada facendo, salvo rare eccezioni, per essi l'apparire finisce sempre con l'identificarsi con l'essere.
Peraltro sono convinto (....) che l'èra della politica è finita e che ha inizio, facendosi faticosamente strada attraverso la scorza degli impulsi politici esauriti, l'èra sociale, o l'èra dell'impulso morale. Sono convinto che la politica è la sopravvivenza di un autentico "oscurantismo" mentale, che impedisce di prendere contatto con il contenuto obiettivo dei problemi umani:  impedisce per via di precostituita assunzione ideologica, di ravvisare nei problemi situazioni che non esigono interpretazione secondo colore politico o teorie di partito, ma soluzioni logiche, tecniche, essenzialmente morali."


Mi piace questa riflessione di Scaligero e potrei aver scritto io stessa la prima frase. 
E qui mi fermo: il mio corpo regge male la dialettica della politica, le sue contraddizioni e incoerenze. Ho ritenuto però importante stimolare una riflessione su questo argomento.


venerdì 21 ottobre 2016

TRISTEZZA E GIOIA

Tristezza e gioia 
riempiono le mie lacrime.
Il lasciar andare porta con sè un dono,
una presa di coscienza,
una responsabilità.
Ogni dolore
è  un'apertura.
Tristezza e gioia 
riempiono le mie lacrime
colmando il cuore di gratitudine.



lunedì 17 ottobre 2016

L'ESERCIZIO DELLA GRATITUDINE


Il riesaminare la storia della propria vita e il rendersi conto di quanto si deve agli altri per ciò che si vale ora, il rievocare determinati esseri da cui si è ricevuto aiuto morale o pratico, il ristabilire mediante il ricordo il rapporto di riconoscenza con coloro che sono all'origine di mutamenti decisivi della nostra vita: significa ristabilire una condizione di verità dell'anima, che si era necessariamente deteriorata. Significa connettere l'anima con le proprie forze originarie: cioè congiungersi con il contenuto benefico del karma, e sollecitarne la continuità.
Il sentimento della gratitudine reca virtù terapeutica, perchè risveglia mediante il ricordo le forze estrasoggettive dell'anima: che sono le forze di profondità dell'Io, normalmente operanti tramite il karma. L'esercizio della gratitudine, come meditazione, libera l'anima dai vincoli sottili della malvagità, in quanto realizza la connessione con l'elemento di perennità delle altrui anime: in realtà il Divino cerca il Divino da anima ad anima.
Scoprire il celato elemento dell'ingratitudine verso chi ci ha aiutati o illuminati, significa aprire il varco alla più intima potenza di Luce.


Preziosa riflessione di Scaligero. Quando viviamo situazioni di grande dolore, centriamo, per forza di necessità, l'attenzione  sulle nostre emozioni e sulla nostra sofferenza ed abbiamo difficoltà a non attribuire all'esterno la causa del nostro disagio. E' necessario un profondo passaggio verso l'autocoscienza per aprire il grandangolo della nostra visuale a permettere un cambio di prospettiva.
L'esperienza mi ha portato spesso a subire situazioni che mi hanno poi indotto a ribaltare la mia vita. Passato il periodo iniziale di smarrimento e sofferenza, non posso che essere grata alle persone che le hanno generate in quanto il loro agire ha fermato un percorso che non mi permetteva di crescere ulteriormente. Ritengo l'esercizio della gratitudine un dono di inestimabile valore. Innanzi tutto esso acuisce la nostra capacità empatica, facendoci comprendere quanto l'accaduto fosse inevitabile sia per noi che per l'altro per poter procedere ed evolvere. Esso ci permette, inoltre, di mediare il flusso di emozioni distruttive scatenate dal dolore con il loro lato costruttivo, per ritrovare armonia ed equilibrio. E per ultimo, ma non meno importante,  l'esercizio della gratitudine ci libera dal vincolo del passato  determinato dal trattenere emozioni quali il rancore, la rabbia, l'odio.
Ogni giorno è un buon giorno  per essere grati. 

sabato 15 ottobre 2016

SUPERIORE ED INFERIORE, MIGLIORE E PEGGIORE, LE ETICHETTE DEL GIUDIZIO


In verità ciò che è realmente superiore non ha bisogno di sopraffare ciò che è inferiore, in quanto questo è il suo stesso essere spirituale ad un altro livello: deve sostenerlo ed organizzarlo, per realizzare in esso la propria continuità spitituale. Ciò che è inferiore ha bisogno di evolvere, onde ha bisogno di ciò che è superiore: per realizzarlo in sè, ascendendo ad esso, secondo un impulso libero, che può apparire autoritario rispetto a ciò che, al livello inferiore, vuol trattenervelo e di conseguenza gli fa impedimento. Il pericolo è che appaia elemento di liberazione ciò che appartiene a tale livello e perciò a questo presume ridurre quanto gli è superiore.  Ciò che è superiore, in ciascuno, è lo Spirituale, unificante tutti. Lo Spirituale che ordina e guida, non fa questo per sopraffare, bensì per realizzare la superiore natura in ciascuno. Le diversità di gradi della evoluzione umana, le differenze che realmente esistono, non hanno altro senso.



Ho apprezzato moltissimo questa riflessione di Scaligero. Da sempre sento nel cuore il bisogno di eliminare le cattedre dell'ego dal mio percorso: in quanto di questo si tratta. Il cuore unisce, l'ego divide e ricava la sua forza dal potere nella materialità. Che questo potere si manifesti attraverso la conoscenza, la ricchezza, la visibilità .... non ha importanza: è sempre un potere diretto dalla mente e teso a distinguersi dagli altri, a elevarsi al di sopra degli altri. E il fine giustifica i mezzi, consapevoli o inconsapevoli che siano. Ritengo la manipolazione del dolore e delle debolezze dell'altro un atto di una violenza inaudita, una mancanza di rispetto verso la vita stessa. La superficialità e la mancata empatia con cui ci si avvicina all'altro non fanno altro che specchiare quanto sia superficiale la conoscenza di se stessi. In un mondo di isole, mi piacerebbe si iniziasse a parlare di arcipelago.


venerdì 14 ottobre 2016

LA VIA SPIRITUALE


Il culto interiore della Verità, l'indipendenza dall'"opinione pubblica", dalle propagande, dal "sentito dire", la ricerca della realtà dietro la parvenza, la continua lotta contro lo Spirito della Menzogna, la volontà di conoscere il contenuto non evidente delle situazioni e ciò che si cela dietro le generali calunnie o esaltazioni umane, costituiscono la disciplina della Verità, che libera dal Male: disciplina che viene assunta come un dovere di fondamento da chi segue la via spirituale. E' una simile disciplina che, esigendo il continuo sacrificio delle simpatie e antipatie personali, porta l'intimo dell'anima alla relazione vera con gli altri: relazione sostanzialmente possibile grazie a una confidenza di fondo con il Divino, da cui si vede scaturire in ciascun essere la reale forza: la forza della guarigione spirituale. Si sa di essere a contatto con la Forza che può tutto e da cui può fluire la Verità, o la Rivelazione, su tutto.
Chi osservi, può facilmente scoprire come una tale disciplina sia in definitiva una forma rigorosa di conoscenza: anzitutto di conoscenza di sè. La reale autoconoscenza non è apprendimento intellettuale, bensì azione: non è di tipo dialettico nè analitico-psichico, bensì operativo, nel senso che non si fonda su rappresentazioni della vita interiore, anche se muove da queste: la sua forza consiste nel superare la sfera del rappresentare, per afferrarne l'elemento dinamico, sino ad avere la percezione di questo.



L'indipendenza  dall'"opinione pubblica" e la libertà di pensiero nascono da una visione oggettiva che si fonda sulla capacità di comprendere il punto di vista altrui e non sul giudizio. La capacità di comprendere, giustificare, tollerare e perdonare nasce sempre da un profondo lavoro interiore teso a riconoscere ed accogliere le proprie debolezze e le proprie paure. Proprio questo processo, estremamente faticoso nel suo dispiegarsi, apre le porte all'empatia e si slega dall'atteggiamento giudicante dell'ego, tanto in voga al momento. Si brilla alimentando continuamente la propria fiamma interiore e mai creando il buio intorno.

giovedì 13 ottobre 2016

INTANTO A ME SCIVOLA TUTTO ADDOSSO ...

Chi crede ancora a questa frase? Quante volte ci siamo trovati in presenza di persone che restano impassibili di fronte a eventi che a noi avrebbero sgangherato i bioritmi? E quante volte ci siamo chiesti "Ma come diavolo fanno?" provando empaticamente a vestire i loro panni? 
Avete presente quel silenzio assenso che precede il "va sempre tutto bene e che problema c'è?" e che  a noi, poveri mortali vittime del sentire, ha generato pippe a raffica inducendoci a rimetterci in discussione più e più volte?
Oggi vi passo la formuletta magica. Queste persone hanno firmato un piano d'accumulo integrato decennale. Lo scivolamento addosso, infatti, non avviene all'esterno come una bella lavata di pioggia, ma all'interno. 
Il piano d'accumulo si dispiega gradatamente fino a riempire ogni spazio e orifizio del corpo, alzando la pressione a cui è sottoposto l'organismo e generando alla distanza molteplici disagi. 
Ricordate i famosi ghiaccioli di cui parlo spesso? Gli iceberg totali? 
Bene, sappiate che vi è una falla nel loro sistema: si tratta del fuoco che si trova all'interno del loro igloo. Quello stesso fuoco che, se bene amministrato, elargisce energia vitale equilibrata giorno per giorno. 
Il piano d'accumulo decennale non tiene conto di questa variabile e continua a gettare legna su quel fuoco, giorno dopo giorno. Sciogliere un iceberg non è opera semplice, per cui quel fuoco, reso sempre più vivace, non potrà che bruciare l'ossigeno a disposizione rendendo l'ambiente interno tossico. 
Le possibilità a questo punto sono due: il fuoco si spegne o ha la forza di creare un'implosione.
A quel punto si salvi chi può.





martedì 11 ottobre 2016

QUANDO LA QUOTIDIANITA' CI METTE ALLA PROVA

Quando la quotidianità ci mette alla prova lo fa sul serio. Questo significa che i messaggi che ci invierà saranno forti e chiari e gli eventi che ci destabilizzeranno si disporranno in serie continua, uno dietro l'altro. Questo è un grande aiuto, perchè ci permette di cogliere risvolti e collegamenti che un singolo evento difficilmente ci rimanda con tanta chiarezza.
Faccio un esempio pratico. Immaginate una serie di eventi che vi ricollegano al passato: ad esempio l'incontro di amicizie di gioventù che in qualche modo vi riportano indietro nel tempo. Quali percezioni stimolano in voi? Come vi approcciate alla situazione? 
Provate a osservarvi in modo oggettivo, come se guardaste il film della vostra vita: lo scorrere delle immagini vi porta fino al momento presente dell'incontro.
Molto probabilmente vi ritroverete cambiati e tenderete a rapportarvi all'altro in modo differente rispetto al passato oppure vi scorgerete molto simili ad allora oppure ancora, nonostante il vostro cambiamento, avrete difficoltà a rapportarvi in modo differente dal passato per l'incapacità a scardinare le dinamiche abituali che hanno contraddistinto la relazione. In quest'ultimo caso, se osserverete con attenzione la prosecuzione del film vi scorgerete molto arrabbiati. Si tratta di  una grande lezione di consapevolezza e, se ne farete tesoro, sarete pronti a trasformare la rabbia in intento, accogliendo e riconoscendo la vostra debolezza di fronte al passato. La vita vi donerà sicuramente un'altra occasione di mettervi alla prova per lavorare con consapevolezza su questa debolezza e trasformarla disgregando gli schemi abituali. Un esempio? L'abilità a  proferire dei salvifici no, quando il passato è stato contraddistinto da un silenzio assenso passivo teso a tenere sotto controllo la propria immagine. Per questo ci vuole coraggio ... il coraggio di ascoltarsi ;-)

PS: un piccolo appunto per chi si scorge molto simile al passato: la domanda a cui trovare risposta è "Cosa mi fa tanta paura da non accogliere alcun tipo di cambiamento? Cosa mi rende così rigido e resistente al dispiegarsi della vita? ". In questo caso il movimento consapevole del corpo potrebbe essere di grande aiuto, così come lavorare con l'elemento acqua ... nuotare, ad esempio. Un consiglio letterario? Il ritmo del corpo ;-)






venerdì 7 ottobre 2016

PODCAST DELLA PRESENTAZIONE DEL "CORAGGIO DI ASCOLTARSI" A HI FIVE RADIO

 Patrick Edera e Patrizia Claps
hanno dato vita ad una meravigliosa trasmissione di Hi Five Radio,

KEEP in TOUCH

con l'intento di approfondire la conoscenza olistica
attraverso le tematiche spirituali di questo tempo.

Nella trasmissione del 4 ottobre 2016
sono stata invitata a presentare
IL CORAGGIO DI ASCOLTARSI
con un'intervista telefonica.

Questo è il link per poterla ascoltare:


La trasmissione prosegue con il Dott. Pietro Concerto
e il suo interessante intervento.


WEBINAIR CON NOURITI NUTRIMENTO PER L'ANIMA



Per chi fosse interessato ad ascoltare la chiacchierata 

"DAL CORAGGIO DI ASCOLTARSI AL RITMO DEL CORPO"

tra  Francesca  di Nouriti Nutrimento per l'Anima e me:




E' stata una piacevolissima serata di condivisione tra amiche
che pur nella sua semplicità,
ha toccato temi importanti relativi al percorso verso la consapevolezza
 e all'ascolto e alla conoscenza di se stessi e del proprio corpo.


Commenti o o domande o richieste di approfondimento
saranno spunto per nuovi blog.

Grazie di cuore a chi vorrà dedicare del tempo all'ascolto.

Donatella




mercoledì 5 ottobre 2016

IL MALE


"Non esiste male fuori dall'uomo: il male è il sottrarsi di lui alla responsabilità della propria volontà: il fare del logos un nome, o un sentimento, o una mistica, o una rappresentazione. Il Logos, rappresentato o sentito o nominato, non può essere il Logos, perchè concepito come entità esteriore da un essere privo di Logos, dall'ego: che vuole mantenersi quale è, e tuttavia sentire il Logos, accoglierne la vastità, a patto di adattarla a sè, secondo l'istanza subconscia del doppio ahrimanico."


Molto profonda questa riflessione di Scaligero. Mi ha richiamato alla mente una citazione di Lao Tsu, espressa magnificamente da Augusto Shantena Sabbadini nella prefazione de IL RITMO DEL CORPO, che riporto parzialmente:

"La più famosa formulazione di questa avversione dei daoisti nei confronti della conoscenza discorsiva è il primo verso del Daodejing (Tao Te Ching), il primo testo fondamentale del daoismo:
il Dao che può essere detto non è l’eterno Dao.[1]
Il significato primario del termine dao è ‘via, strada, cammino’; di qui si estende a indicare ‘via da seguire, principio guida, norma, dottrina’; e di qui ancora a indicare ‘discorso, dire, parlare, insegnare’. Una prima lettura di questo primo verso del Daodejing perciò potrebbe essere “ogni via che può essere indicata non è una via eterna (o costante)”, oppure “ogni norma che può essere enunciata non una norma eterna (o costante)”.
In questo senso il verso enuncia una intrinseca limitazione del linguaggio: la sua incapacità di catturare l’essenza ultima delle cose, la natura ultima della realtà. La verità, non appena essa viene formulata in parole, organizzata in un discorso, già non è più verità. La via è indescrivibile, non si lascia codificare mediante prescrizioni, non è catturabile mediante un codice di comportamento (come cercavano invece di fare i confuciani, i discepoli di Confucio). La stessa consapevolezza dei limiti del linguaggio è caratteristica del pensiero postmoderno. Negli anni ’30 il matematico Korzybski ci ha ricordato che il linguaggio fornisce solo mappe della realtà e che “la mappa non è il territorio”.
Ma se la consapevolezza dei limiti del linguaggio accomuna gli antichi maestri daoisti e i pensatori postmoderni, le implicazioni che essi ne traggono sono assai diverse. Mentre l’incapacità del linguaggio di comprendere la realtà ultima induce i pensatori postmoderni ad abbandonare l’idea di una realtà ultima, privilegiando la dimensione della realtà come discorso, per i daoisti accade l’opposto: la sola cosa che li interessa è la realtà indicibile, il Dao che non può essere detto, la dimensione esperienziale della conoscenza. Per questo inventano un nuovo senso per la parola dao, capovolgendone la connotazione: il senso che nelle lingue occidentali distinguiamo con l’iniziale maiuscola, il Dao che è l’indicibile essenza ultima della realtà, il non manifesto che sottostà a ogni manifestazione.
Se il Dao non può essere detto in parole, esso è tuttavia in un certo senso quanto di più immediato ci sia dato vivere: è il movimento del tutto, lo spontaneo fluire della realtà di cui facciamo esperienza essenzialmente attraverso il corpo.
I daoisti portano quindi un’estrema attenzione alla conoscenza esperienziale il cui veicolo è il corpo. Per questo, paradossalmente, questi partigiani della spontaneità, questi nemici del metodo, elaborano una grande varietà di tecniche corporee, che abbracciano la meditazione, le arti marziali e la cura della salute. E il paradosso è solo apparente: come un fiume che scorre dentro il suo alveo, la perfetta spontaneità richiede una forma per essere vissuta."


[1] Lao Tzu, Tao Te Ching. Una guida all'interpretazione del libro fondamentale del taoismo, traduzione e cura di Augusto Shantena Sabbadini, URRA, Milano, 2009

lunedì 3 ottobre 2016

L'AMORE NON PUO' DONARE LA VITA AI SASSI

1 SE E' AMORE, AMA I SASSI PER QUELLO CHE SONO
2 SE E' AMORE, ACCETTA I SASSI PER QUELLO CHE SONO
3 SE E' AMORE, NON NUTRE ASPETTATIVE 
E  SI DONA CON DISCERNIMENTO

LA DOMANDA NASCE SPONTANEA:
MA L'AMORE NON PUO' TUTTO?

CERTO, MA NEL RISPETTO DELL'AMORE STESSO.







sabato 1 ottobre 2016

OGGI, UNA FIABA

LO GNOMO E L’ANGELO

Il piccolo gnomo lo osservò. Era la prima volta che vedeva un angelo precipitare a terra.
La creatura alata si scrollò di dosso la polvere e la rabbia: dove era capitato? E cosa gli stava accadendo?  Cosa ci faceva in quel bosco? E chi era quell’esserino alto due piedi che lo fissava con tale insistenza? Cosa voleva da lui?
L’angelo voleva semplicemente starsene solo. Il ricordo di quel fuoco ancora gli bruciava le ali.
Si sentiva appesantito e confuso.
Lo gnomo, divertito, lo apostrofò: “E’ la terra. Non è così male quando ti ci abituerai”.
“Non ho nessuna intenzione di abituarmici” rispose stizzito l’angelo scrollando le ali.
“Perché mai?” chiese incuriosito lo gnomo.
“Perché appartengo al cielo”, che domande.
Lo gnomo scoppiò in una sonora risata e fece notare all’angelo quanto il contesto non si addicesse ad una tale affermazione. Anzi. “Osserva le tue ali, dubito tu possa volare ancora” sussurrò lo gnomo con dolcezza per non ferirlo.
L’angelo guardò le ali e si arrese alla tristezza. Una lacrima con i colori dell’arcobaleno solcò il suo viso e scivolò a terra. Altre lacrime scesero ad accompagnare i suoi passi nel bosco.

Gli anni passarono e il ricordo di quel momento fu dimenticato. Fino a quel giorno.
Il giorno in cui gli occhi dell’angelo incontrarono nuovamente lo sguardo dello gnomo e in esso si persero sentendosi a casa. Il cielo riempì il cuore dell’angelo che ritrovò nella terra le sue radici.